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“Zafferano” alias Federico D’Amato, potente spia amante della gastronomia #adessonews

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Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


Ci si è interrogati, dunque, sull’identità del soggetto o dell’ente identificato nel documento Bologna e negli altri documenti manoscritti da Gelli in “ZAFF”, “ZAF” o “ZAFFERANO”. Il testimone Sgarangella (cfr. trascrizione udienza 7.5.2021, pag. 32) ha riferito che inizialmente si era stati indotti ad accostare il colore dello zafferano alla Guardia di Finanza (le Fiamme gialle appunto), ma tale accostamento fu poi accantonato nel corso delle indagini sul crack del Banco Ambrosiano. È del resto questa la tesi menzognera sostenuta dal Ceruti nel suo interrogatorio avanti ai magistrati della Procura generale.

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Si osservò che nella documentazione sequestrata a Licio Gelli vi erano altri riferimenti alla Guardia di Finanza per possibili episodi di corruzione e, in ogni caso, Gelli era solito indicare i nominativi (ad es. Gallo, D’Aloia, De Marco) dei soggetti che potevano essere coinvolti in atti corruttivi e non il corpo di appartenenza. Invece, le indagini svolte per identificare la persona indicata nei documenti bancari aveva

il nome in codice “Federico” ed era appellato da Licio Gelli con l’abbreviativo “Zaf’ o anche “Zafferano” – persona a cui lo stesso Gelli fece pervenire la somma di 850.000 USD tra febbraio 1979 e luglio 1980 – inducono a ritenere che il predetto soprannome si riferisca a Federico Umberto D’Amato.

D’Amato, nato a Marsiglia nel 1919 e deceduto nel 1996, alto funzionario della Polizia di Stato, ricoprì l’incarico di direttore dell’Ufficio Affari Riservati (UAR) del Ministero dell’interno dal 1971 al 1974 e fu poi nominato capo della Polizia di Frontiera, anche se rimase sempre in qualche modo legato ai servizi segreti civili a livello di vertice, in ragione dell’influenza che vi aveva sempre esercitato.

Il D’Amato, come vedremo meglio in seguito, rappresentò i servizi segreti civili italiani nel c.d. club di Bema, un centro di coordinamento informale dei servizi dei principali paesi europei, ben oltre il suo allontanamento dall’Ufficio Affari Riservati con l’assunzione dell’incarico di capo della polizia di frontiera

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Si tratta, secondo la tesi dell’Accusa, di una figura centrale nell’ideazione della strage del 2 agosto 1980.

Dai documenti prodotti e dalle testimonianze acquisite, deve inferirsi oggi che egli fosse legato a Licio Gelli da un rapporto assai stretto, non solo in virtù della comune appartenenza alla loggia P2 – essendo emerso nel 1981 che egli era iscritto alla Loggia P2 con la tessera n. 1643 – ma anche da un’assidua frequentazione di carattere personale.

Una connessione che s’impone logicamente, considerando i ruoli da essi rivestiti e la necessità di un coordinamento delle rispettive azioni, che altrimenti avrebbero dovuto essere in violenta, radicale rotta di collisione. Collisione che l’adesione di D’Amato alla P2 permette di escludere, avendo viceversa il valore di un’integrazione al massimo livello, non essendo certamente egli un personaggio bisognoso dei servizi di Gelli per fare carriera o, ancor più, per elaborare un’autonoma strategia, in forza dell’enorme potere informativo acquisito.

Vi è piuttosto da dire che l’accordo e l’alleanza tra i due producevano un effetto di crescita esponenziale sul potere di controllo esercitabile nei confronti della politica, dell’economia e della finanza, oltre che dei servizi informativi e di sicurezza. A questo riguardo non è casuale l’immanente presenza di D’Amato nell’ultima fase della vicenda Calvi.

A dimostrazione di questi rapporti, tra i plurimi elementi che si possono addurre, si segnala che nell’agenda sequestrata a Gelli all’atto del suo arresto in Svizzera nel 1982, risultava annotato il numero di telefono di D’Amato ed anche il resoconto di un suo incontro con lui il precedente 7 agosto 1982, ovvero in un momento in cui Gelli era latitante.

L’ipotesi investigativa che riconduce Zaf/Zaff/Zafferano al D’Amato ha preso spunto da una memoria dei legali delle parti civili, i quali hanno segnalato l’esistenza di un libro, scritto da D’Amato quando ancora era ai vertici della polizia di sicurezza, in cui si menziona un episodio autobiografico che riguarda un piatto di pesce condito con lo zafferano. La c.d. “rivelazione di Marsiglia”.

Dalle indagini svolte, sulle quali ha testimoniato il capitano Sgarangella, è emerso che Federico Umberto D’Amato era noto per la sua passione per la gastronomia e che egli fu autore del libro “Menù e dossier” (pubblicato nel 1984), nel quale raccontò che ebbe una sorta di illuminazione quando, in un pranzo avvenuto a Marsiglia, degustò una zuppa di pesce allo zafferano, la c.d. “buoillabaisse”.

Il noto gastronomo Edoardo Raspelli, escusso come teste all’udienza del 21.5.2021, ha confermato che la bouillabaisse è il piatto tipico della città di Marsiglia ed è costituita da una zuppa di pesce caratterizzata dall’impiego, come ingrediente, dello zafferano.

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È emersa in questo processo la prova che Federico D’Amato e Licio Gelli si conoscevano bene e si deve ritenere che la loro frequentazione non andasse esente da appuntamenti di natura culinaria, come può trarsi dal fatto che a pagina 126 del proprio libro D’Amato ironizzava proprio sulle abitudini alimentari di Lico Gelli, che definiva come “negato alla buona tavola” e dedito a mangiare “omelette, fracoste e verdure”; D’Amato, in particolare, ricordava un episodio in cui Licio Gelli “si intossicò quasi mortalmente con una sogliola avariata in un ristorante vicino all ‘Excelsior”.

Non c’è dubbio, pertanto, che i due, oltre che piduisti, fossero compagni di tavola, sicché a Gelli non poteva essere sfuggita la passione del poliziotto-gourmet per lo zafferano, già prima della pubblicazione del libro “Menù e Dossier” e di cui non faceva mistero, seguendo l’esaltazione che nel libro viene fatta delle qualità della zuppa di pesce allo zafferano e delle sperticate lodi che lo steso D’Amato sviluppa nel libro sulla commistione tra spionaggio, buona tavola e ingredienti culinari, considerando il momento conviviale come quello più idoneo per carpire rivelazioni e segreti.

D’Amato era talmente noto per la sua passione culinaria, che Giannantonio Stella su “Il Corriere della Sera” del 27.4.1997 gli dedicò un articolo dal titolo “D’Amato lo sbirro grandgourmet” e Fulvio Pierangelini una menzione, anch’essa riferita allo zafferano, a pag. 46 del suo testo “Il grande solista della cucina italiana” (…). Giannantonio Stella all’udienza del 21.5.2021 ha riferito che per scrivere l’articolo e documentarsi consultò le fonti dell’archivio del Corriere della Sera ed ebbe anche un colloquio con il giudice istruttore dott. Mastelloni, che gli parlò dell’indagine denominata “ARGO 16” svolta a Venezia, riguardante appunto anche Federico Umberto D’Amato.

Vi furono altri articoli di stampa da cui emergeva la passione di D’Amato per il citato ingrediente, che egli evidentemente celebrava nella cerchia delle sue conoscenze. In un articolo di commento di una nota trasmissione televisiva (…), D’Amato veniva definito “lo sbirro gourmet che abbinava la passione per lo spionaggio alla gastronomia e non si fece mai beccare”.

Nell’articolo si metteva in luce “il disprezzo che [D’Amato] riservava agli chef che dimenticavano di mettere lo zafferano nella bouillabaisse”. In un articolo dell’agenzia di stampa “Repubblica” di Landa Dell’Amico del 4.11.1982 – quindi anteriore alla pubblicazione del libro “Menù e Dossier” il predetto Dell’Amico, nel commentare l’audizione di Federico Umberto D’Amato da parte della commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2, definiva la stessa come “una pietanza scritta dedicata al giallo zafferano in salsa 007”, ancora una volta a sottolineare il dualismo che contraddistingueva la sua figura, tra gourmet ed appartenente ai servizi segreti, indicandosi quell’ingrediente come capace di distinguere univocamente lo “spione”.

È stato dimostrato in questo processo come negli anni ’70 Lando Dell’Amico percepisse il compenso di L. 70.000 al mese come informatore fiduciario di D’Amato ed avesse anche il nominativo in codice di fonte “Carrara”.

Lando Dell’Amico, dunque, era una fonte estremamente qualificata, posto che non solo era legato da un rapporto di amicizia con D’Amato, ma ne era anche un informatore personale e deve quindi reputarsi assolutamente credibile nel connettere D’Amato e lo zafferano.

Occorre, infine, osservare che D’Amato era nato a Marsiglia, città in cui la predetta zuppa di pesce costituisce un piatto tipico e ciò, oltre a spiegare il rigore culinario di D’Amato nella realizzazione di tale ricetta, disvela un ulteriore correlazione di tipo personale tra l’ingrediente sopraddetto e la sua persona, tale da giustificare che, con l’espressione “Zafferano”, Gelli intendesse riferirsi proprio a lui.

Va infine ricordato che in Uruguay, nella sua residenza di Montevideo, vennero sequestrati a Licio Gelli numerosi documenti, tra i quali emergeva un plico, denominato ”fascicolo concernente Federico Umberto D’Amato”, in cui Gelli aveva scritto di pugno quanto segue: “La posizione economica dì D ‘A, in Svizzera e presso la Banca Morin di Parigi (versamenti americani) è rilevantissima”.

Secondo la Procura generale il fatto che Gelli conoscesse le rilevanti risorse economiche del funzionario si può spiegare con il fatto che fosse stato proprio lui ad alimentarle, attraverso versamenti di denaro e ciò conforta la tesi secondo la quale il beneficiario della somma di 850.000 USD – versata tra febbraio 1979 e luglio 1980 ed indicata nel “documento Bologna” fosse Federico Umberto D’Amato.

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In definitiva, appare assolutamente ragionevole la tesi secondo la quale il nomignolo “Zafferano” o i suoi abbreviativi “ZAFF” e “ZAF”, utilizzato da Gelli nel “documento Bologna” e in altri coevi manoscritti, contraddistinguesse il predetto personaggio.

Si consideri che una simile intuizione è già di per sé capace di autorizzare le conclusioni più ardite, poiché si avrebbe prova del trasferimento di ingentissime somme di denaro da parte di Licio Gelli – capo della Loggia P2 e personaggio che non aveva mai celato i propri disegni di carattere golpistico – ad un alto funzionario che era stato a capo dell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno e che, anche dopo essere passato ad un altro incarico, aveva mantenuto una forte influenza nell’ambito dei servizi di intel/igence nazionali, e, come si dirà, anche internazionali e che per giunta era iscritto alla loggia massonica P2, nella quale erano coinvolti altri soggetti appartenenti ai servi deviati, come il generale Santovito, Francesco Pazienza o il colonello Musumeci. Un personaggio che aveva mantenuto sin dagli anni Sessanta stretti rapporti con Stefano Delle Chiaie e altri esponenti dell’eversione nera, come si vedrà avanti.

L’affiliazione di D’Amato alla P2 non è sfuggita alla Commissione Parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2, che esaminò la sua posizione.

A pag. 109 della relazione della Presidente Tina Anselmi si legge quanto segue: “Una particolare menzione richiede la figura di Federico Umberto D’Amato, iscritto alla Loggia P2, la cui presenza emerge in tante vicende della vita italiana in questi anni e che figura in rapporti stretti e costanti con molti degli uomini in qualche modo coinvolti nella storia e nell’attività della loggia, da Roberto Calvi a Francesco Pazienza, da Angelo Rizzoli a Mino Pecorelli, oltre che con Licio Gel/i. Informazioni su D’Amato o raccolte dal D’Amato si rinvengono anche presso l’archivio di Gel/i di provenienza uruguaiana. Sugli stretti rapporti

tra D’Amato e Calvi, fino agli ultimi giorni di vita di quest’ultimo, riferiscono ampiamente i familiari di Calvi”. A cosa dovevano servire quelle ingenti somme di denaro?

Per cercare di dare una risposta, si rende indispensabile cercare di trarre elementi dalla situazione economico-finanziaria di D’Amato ali’ epoca dei fatti, dalla sua vicenda personale e dal suo cursus honorum. […].

La Procura generale ha svolto indagini sulle condizioni economiche di Federico Umberto D’Amato, mediante l’espletamento di rogatorie in Francia e in Svizzera.

I documenti così acquisiti206 sono stati poi oggetto di accurata disamina da parte del Nucleo di Polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza di Bologna. Le risultanze di tali indagini sono state illustrate dal capitano Sgarangella ali ‘udienza del 19.5.2021 Le indagini sono state integrate dall’acquisizione di documentazione attinente al reddito di D’Amato, acquisita dalla DIGOS di Bologna presso il Ministero dell’Interno, sulla quale ha testimoniato Antonio Marotta.

Le indagini hanno consentito di appurare che parte delle risorse finanziarie pervenute a D’Amato attraverso i finanziamenti di Licio Gelli furono dallo stesso impiegate per un investimento immobiliare a Parigi. Due giorni dopo la morte di D’Amato, nel 1996, venne disposta una perquisizione della sua abitazione dalla G.di F. su mandato del giudice istruttore di Venezia nell’ambito delle indagini per la vicenda del disastro aereo del velivolo “Argo 16′, nome in codice dell’aeromobile Douglas C-47 Dakota dell’Aeronautica Militare, usato dai servizi segreti italiani, precipitato a Marghera il 23.11.1973, causando la morte dei quattro membri dell’equipaggio. In quel frangente venne sequestrato un appunto dattiloscritto, che atteneva ad informazioni che D’Amato intendeva fornire agli inquirenti, sia inerenti la sua carriera, sia inerenti le sue possidenze.

Orbene, dal documento emergeva che egli aveva la disponibilità di un appartamento posto in Rue d’Argenteuil n. 9 a Parigi e che esso era stato acquistato tramite una società di diritto svizzero, denominata “Oggicane”, all’uopo costituita il 28.9.1979, della quale furono nominati amministratori, in successione, l’avvocato Michael De Gorski e Alix Francotte Conus.

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Secondo la Procura generale il pagamento del prezzo dell’appartamento (300.000 franchi francesi, pari all’epoca a circa 57 milioni di vecchie lire) ha coinciso temporalmente con il primo versamento effettuato a favore di D’Amato da Gelli e Ortolani (si tratta, giova ripetere, della somma di 294.000 USD con valuta 16.2.1979, della quale, secondo il citato appunto “Memoria”, 250.000 USD costituivano un acconto della maggior somma di 850.000 USD destinata a “ZAF”, richiamata anche nel “documento Bologna”). Inoltre, è emerso che D’Amato dovette sostenere in quel periodo ulteriori ingenti spese relative alla ristrutturazione dell’appartamento di Parigi, pari a 100 milioni di vecchie lire, alla costituzione e gestione della società Oggicane, all’acquisto di oggetti di antiquariato da destinare ad arredo dell’appartamento stesso.

D’Amato consegnò la somma di 100.000 USD all’avvocato De Gorski per far fronte alle spese di gestione della società Oggicane. Tali spese furono sostenute da una società panamense (la Posset Trading), come risultava da una convenzione stipulata tra D’Amato e la società in data 2.3.1982; lo stesso giorno la Posset Trading impiegò i 100.000 dollari ricevuti da D’Amato in un investimento obbligazionario di pari importo.

Si osservi che l’effettiva titolarità in capo a D’Amato della società Posset Trading emerge anche da un documento sequestrato dalla G. di F. nel corso delle perquisizioni che vennero eseguite nei confronti dei familiari di Antonella Gallo, colei che era stata una sorta di segretaria personale privata di D’Amato.

Si tratta di una sorta di “testamento” indirizzato all’avv. De Gorski, mediante il quale D’Amato disponeva che, alla sua morte, le azioni della Oggicane ed il capitale della Posset Trading venissero trasferiti alla sua erede, Antonella Gallo. Le testimonianze assunte hanno avuto a riguardo anche il tenore di vita tenuto da D’Amato, il quale doveva ritenersi estremamente elevato, anche in relazione a quelle che erano le sue capacità reddituali dell’epoca. La testimone Elena Guidi, sentita all’udienza dell’8.7.2021, ha confermato puntualmente tale assunto. Ella ha premesso che, dopo diversi anni di convivenza, a partire dal 1979, si era sposata con D’Amato il 3.5.1984, ma poi si era separata consensualmente un anno e mezzo dopo. Ha asserito che D’Amato le aveva regalato, quando non erano ancora sposati, un’autovettura Porsche 924 ed una tenuta agricola di circa 10 ettari in Toscana nei pressi di Cecina, composta da una casa piccola abitabile, da una casa antica da ristrutturare, da un frutteto e da un uliveto; ella rivendette l’intero compendio nel 1995 al prezzo di 700 milioni di lire.

Inoltre, il marito le regalò gioielli “mediamente importanti”. […]. Il valore dell’autovettura oscillava tra i 30 e i 50 milioni. La coppia andò a vivere in una casa presa in locazione, per la quale il canone era versato dal marito; per le pulizie domestiche si avvalevano di una coppia di origine filippina.

La teste ha dichiarato che all’epoca suo marito guadagnava circa tre milioni di lire al mese, più quello che percepiva come curatore e redattore della guida gastronomica de L’Espresso. Con la separazione consensuale i coniugi concordarono che D’Amato versasse la somma di 2 milioni di lire al mese alla coniuge, pagamento che aveva poi onorato. Ha riferito che D’Amato aveva una passione per l’arte e l’oggettistica e si recava spesso a Parigi anche per girare per mercatini e piccoli negozi.

La donna ha confermato che D’Amato le disse di conoscere Gelli e di essere iscritto alla loggia P2; che egli conosceva anche Francesco Cossiga; che alla celebrazione del loro matrimonio erano presenti il direttore de “Il Borghese” Tedeschi e l’imprenditore Ciarrapico. Deve escludersi che le rilevanti capacità economico-finanziarie dimostrate a quell’epoca da D’Amato trovassero rispondenza unicamente nel suo stipendio e nelle attività di lavoro autonomo come critico gastronomico. […]. Giova osservare come la stessa circostanza che egli abbia cercato di dissimulare la titolarità di parte delle sue proprietà attraverso lo schermo di due società prestanome – significativa poi la scelta di una società di diritto svizzero e l’altra di diritto panamense – ed attraverso l’incarico fiduciario conferito all’avvocato De Gorski, tradisce l’intento di

occultare ingenti disponibilità finanziarie illecitamente accumulate, in modo da rendere difficoltoso risalire a lui. Per contrastare queste risultanze, la Difesa Bellini ali ‘udienza del 14.5.2021 ha depositato una nota ed ha allegato a suo corredo vari documenti per integrare il tema della situazione reddituale di D’Amato.

Tra le produzioni, spicca un’ispezione ipotecaria avente ad oggetto le trascrizioni a favore e contro il dott. D’Amato. Da essa risultano due trascrizioni a favore e cinque trascrizioni

contro. Le trascrizioni a favore riguardano due successioni ereditarie, quella della moglie,

Ida Melani e quella del padre, Federico D’Amato.

[…] In definitiva, il raffronto tra il reddito percepito all’epoca da Federico Umberto D’Amato e l’acquisto dell’appartamento parigino e degli elementi di arredo, con il carico di spese che ne conseguirono, segnala un contrasto abbastanza stridente. Il fatto stesso di investire a Parigi e non ad esempio acquistare un’abitazione a Roma, appare anomalo, così come peculiare deve ritenersi la sofisticata attività volta ad attribuire all’appartamento l’apparenza di una diversa titolarità. Tali argomentazioni costituiscono ulteriori elementi di conforto alla tesi dell’Accusa.

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