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consensi in crescita, ma i ricchi pagano meno #adessonews

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L’idea di una tassa europea sui grandi patrimoni non passa inosservata tra i cittadini italiani. Secondo i dati presentati dall’Istituto Demopolis e Oxfam Italia, una tassazione sui patrimoni superiori a 5,4 milioni di euro, che riguarderebbe lo 0,1% più ricco della popolazione italiana, potrebbe generare fino a 16 miliardi di euro l’anno per le casse dello Stato. In dieci anni, si accumulerebbero ben 160 miliardi di euro, una cifra che oggi manca nel bilancio pubblico. Un gettito simile permetterebbe di finanziare due terzi della legge di bilancio senza ricorrere a tagli della spesa pubblica, preservando servizi sociali essenziali e garantendo sostegno alle politiche salariali, senza la necessità di pesanti interventi sul cuneo fiscale.

Disuguaglianza economica e percezione del sistema fiscale

La percezione del sistema fiscale attuale tra gli italiani non è lusinghiera: l’85% degli intervistati ritiene che sia inefficace nel garantire equità. L’indagine mostra chiaramente come questa sensazione alimenti la frustrazione verso le disuguaglianze crescenti. Ben il 71% degli italiani afferma che negli ultimi cinque anni le disuguaglianze economiche sono aumentate in modo preoccupante. Questa crescita non è soltanto legata ai redditi, ma anche all’accesso ai servizi essenziali, come la sanità e l’istruzione, aree in cui le disuguaglianze sui redditi si manifestano in modo sempre più evidente.

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Imposta sui grandi patrimoni: una possibile soluzione?

L’introduzione di una tassa sui grandi patrimoni è vista da molti come un’opportunità per riequilibrare il sistema. Secondo il sondaggio, 7 italiani su 10 sono favorevoli all’idea di applicare una tassazione allo 0,1% più ricco della popolazione, individuato come potenziale risorsa per sostenere le politiche sociali. circa 50.000 persone con patrimoni superiori a 5,4 milioni di euro.

Questa misura potrebbe generare fondi essenziali per affrontare i crescenti bisogni del welfare, inclusi istruzione, sanità e una transizione ecologica equa. Il 68% degli intervistati crede infatti che tassare i patrimoni elevati sia una via concreta per rafforzare il sistema sociale, mentre il 56% sottolinea come ciò potrebbe rendere più equo anche il sistema fiscale complessivo.

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L’appoggio è particolarmente forte tra gli elettori dell’Alleanza Verdi e Sinistra, con un 94% di consensi, e tra quelli del Partito Democratico (88%) e del Movimento 5 Stelle (86%). Anche tra gli elettori della maggioranza di governo, il 49% dei sostenitori di Fratelli d’Italia e il 45% di quelli di Forza Italia vedrebbero di buon occhio questa tassa. Dall’altro lato, la Lega rimane il partito più scettico, con una maggioranza contraria (43%).

La polarizzazione politica intorno al tema delle tasse non è nuova, ma la proposta di una tassazione mirata sui patrimoni elevati sembra trovare terreno fertile, perfino in un clima di tensione e divisioni.

Nonostante il sostegno diffuso all’imposta, esiste un forte scetticismo sulle capacità dello Stato di gestire queste risorse. Un italiano su due teme che, anche se i fondi venissero raccolti, verrebbero sprecati a causa dell’inefficienza delle istituzioni. C’è poi chi ritiene che una tassa di questo tipo aprirebbe la strada a una patrimoniale generalizzata che andrebbe a colpire anche il ceto medio, un rischio che il 38% degli intervistati considera concreto.

Altre misure per combattere le disuguaglianze

Il sondaggio non si ferma alla proposta della tassa sui patrimoni, ma esplora anche altre misure per ridurre le disuguaglianze. La lotta all’evasione fiscale è in cima alla lista delle priorità per il 72% degli italiani, che vedono nella riduzione dell’evasione un mezzo per recuperare risorse e ridurre i divari. Altre misure indicate includono politiche per limitare il precariato, investimenti in settori chiave come sanità e istruzione, e una riforma fiscale che preveda una maggiore progressività. Tuttavia, c’è chi insiste sul bisogno di una riduzione generalizzata delle imposte, con un 25% degli intervistati che vorrebbe una diminuzione delle tasse per tutti, indipendentemente dal reddito.

Perché si sente parlare sempre più di tassa sui ricchi

Negli ultimi anni si parla sempre di più della tassa sui ricchi perché le disuguaglianze economiche sono diventate impossibili da ignorare. La crescente concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi, e la povertà media in aumento, ha riacceso il dibattito su come i più abbienti possano contribuire in maniera più significativa al benessere collettivo. Proposte come un’aliquota progressiva sui grandi patrimoni mirano proprio a ridurre queste disparità e a finanziare servizi essenziali come sanità, istruzione e la tanto necessaria transizione ecologica.

A livello internazionale, la questione è sostenuta da economisti e politici, con petizioni che chiedono di tassare patrimoni superiori a 50 milioni di euro. Si tratta di un tentativo di garantire maggiore equità fiscale: chi ha di più, deve contribuire di più, specialmente in un momento in cui la società deve affrontare sfide globali come il cambiamento climatico e la necessità di investimenti pubblici.

Quante tasse pagano i ricchi in Italia? Meno rispetto al 99% della popolazione

Un recente studio della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università di Milano-Bicocca mette sotto i riflettori una questione che brucia: l’1% più ricco in Italia paga, proporzionalmente, meno tasse rispetto al 99% restante. Un dato che emerge non solo dai numeri, ma dalla rabbia di chi ogni giorno vede il proprio stipendio decurtato da imposte e contributi, mentre i super-ricchi riescono a schivare la stretta fiscale.

Il sistema fiscale italiano, nel suo insieme, appare leggermente progressivo per il 95% della popolazione, con una pressione fiscale che sale dal 40% al 50%. Tuttavia, appena si superano certe soglie di reddito, la situazione cambia drasticamente. Per chi guadagna oltre 500 mila euro l’anno, l’aliquota effettiva scende al 36%, trasformando il sistema da progressivo a regressivo. In altre parole, chi ha di più finisce per pagare proporzionalmente di meno.

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Ma come si giunge a questo paradosso? La risposta è nelle pieghe del sistema: i più ricchi non devono solo ringraziare l’aliquota più bassa sulle rendite finanziarie e sugli immobili, tassati tra il 12% e il 26%, ma anche l’Iva, che pesa meno su chi può permettersi di risparmiare di più. A ciò si aggiunge il minore impatto dei contributi sociali oltre i 100 mila euro di reddito. Un mix che porta a una situazione dove i ricchi sono sempre più ricchi, ma il loro contributo al benessere collettivo rimane, ironicamente, ridotto al minimo.

L’1% più ricco detiene circa il 12% del reddito nazionale. Un’élite che, con una media di 310 mila euro annui, genera profitti soprattutto dalle rendite e dal lavoro autonomo in posizioni di potere, come amministratori di grandi aziende. Ma se restringiamo il cerchio allo 0,1% più abbiente, troviamo circa 50 mila persone che detengono il 4,5% del reddito totale, con guadagni superiori al milione di euro l’anno. Cifre inarrivabili per la popolazione italiana che, in media, guadagna in media 45k euro lordi l’anno.

Non sono solo i poveri a soffrire. Tra il 2004 e il 2015, mentre il reddito nazionale calava del 15%, il 50% più povero ha perso il 30% delle proprie entrate. In particolare, i giovani tra i 18 e i 35 anni hanno subito un crollo del 42%, una perdita che sta erodendo il futuro di un’intera generazione. A peggiorare il quadro, c’è la disuguaglianza di genere: nell’1% più ricco, le donne continuano a guadagnare circa la metà dei loro colleghi uomini, perpetuando un divario che sembra non voler diminuire.





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