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VIENNA — “Heimat, helden, Hegel”. È questo il pantheon del trionfatore delle elezioni in Austria, Herbert Kickl: patria, eroi, Hegel. Classe 1968, ex studente di filosofia, ex ghost writer di Joerg Haider, ossia dell’uomo che si è reinventato l’estrema destra ed è riuscito nel 2000 a farla andare per la prima volta al governo, Kickl è stato a lungo ritenuto troppo estremista persino per fare il ministro. Nel 2017, quando finalmente lo divenne, il presidente della Repubblica, Alexander Van der Bellen, commentò, scioccato, che era «una bomba». E Kickl gli fece sapere che «la disinnescheremo insieme». Il capo dello Stato, stavolta, è stato più esplicito: non gli darà l’incarico da cancelliere. E il fatto che il leader della Fpoe abbia condotto un’intera campagna elettorale definendosi “Volkskanzler” come Adolf Hitler, non ha aiutato certo ad ammorbidire la posizione di Van der Bellen.
Ma è un tragico segno dei tempi che i nuovi leader dell’estrema destra non debbano neanche più “de-diabolizzarsi”, ossia rincorrere l’elettorato centrista per vincere le elezioni. Più sono radicali, più vincono. Esattamente come l’Afd in Germania.
Grande appassionato di sport estremi, ascetico, maniacale nel proteggere la sua vita privata, Kickl è riuscito stavolta persino a battere l’uomo che lo attirò verso la politica, il suo mentore, Joerg Haider. Nel 1999 il carismatico e controverso capo dell’estrema destra austriaca aveva sfiorato il 27%, l’ex ministro dell’Interno è riuscito a incassare il 29%. E se in questa campagna elettorale ha cercato di darsi un’aria più da statista, non ha mai nascosto le sue idee e le sue frequentazioni radicali. Nel 2021, per dire, cavalcò le proteste “no vax” nelle piazze di Vienna accanto a identitari, neonazisti, militanti di estrema destra come Gottfried Kuessel. E anche al comizio di chiusura della campagna elettorale, venerdì, ha parlato di un «regime da Covid».
Da anni, l’ex ministro dell’Interno parla di «follia gender» e si scaglia contro la tradizione del Parlamento di tingersi di arcobaleno nel mese del Pride, detesta la presunta «follia woke», i sessantottini, persino gli «Horckheimer, gli Adorno e i Marcuse» come urlò una volta in Parlamento, nel lontano 2009. E come l’intera, nuova destra europea, attacca quotidianamente quello che definisce il «comunismo ecologista», insomma tutto ciò che promette una seria lotta ai cambiamenti climatici e i Verdi. E negli ultimi mesi non ha neanche escluso di voler reintrodurre la pena di morte, «se decisa da un referendum». Kickl punta dichiaratamente a una democrazia plebiscitaria, basata proprio sui referendum.
E poi ci sono i suoi legami strettissimi con la Russia di Vladmir Putin, e una coerente campagna elettorale improntata alle fandonie sulla “pace” con il Cremlino, ad attacchi presunti “guerrafondai” tra i partiti tradizionali che hanno sempre garantito il sostegno all’Ucraina. Quando era ministro dell’Interno, l’Europa intera rimase scioccata quando Kickl ordinò alla polizia di eseguire un blitz nel quartier generale dei servizi segreti interni. Col senno di poi è chiaro che da ministro volesse rovinare il lavoro di una funzionaria che indagava sull’estrema destra. Ma la spettacolare azione che umiliò l’intelligence creò un danno enorme alla reputazione di Vienna. Per anni, i servizi stranieri diffidarono dei colleghi austriaci.
Infine, c’è da sempre un tema d’elezione, per Kickl, su cui ha martellato anche stavolta: l’immigrazione. Sono famosi gli slogan puerili in rima baciata che inventò in passato – «mehr Mut fuer unser Wiener Blut» («Più coraggio per il nostro sangue viennese») o «daham statt islam» («la patria al posto dell’islam»). Anche negli ultimi mesi, però, ha continuato a proporre il progetto di un’Austria «omogenea», che ricorda tempi bui e teorie che sembravano sepolte. Kickl promette una “Fortezza Austria”, parente stretta del marchio “Austria first” che il suo partito coniò anni prima di Donald Trump. Anche dal palco del suo ultimo comizio, venerdì nella piazza del duomo di Santo Stefano, Kickl ha fatto i conti in tasca ai profughi e ha citato una famiglia siriana con sette figli che secondo la stampa scandalistica prende 4.300 euro di sussidi dal comune di Vienna. «Senza mai aver lavorato», ha urlato, stimolando i rancori più infidi, alimentando la classica guerra tra poveri che l’estrema destra cavalca cinicamente da sempre.
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