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gli effetti del gas flaring di Eni e Total in Congo #adessonews

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Il terminal petrolifero di Djeno raccoglie quasi tutto il greggio estratto nell’ex colonia francese. La popolazione locale lamenta malattie causate dalla combustione del gas in torcia, ma anche piogge acide che impoveriscono i terreni e uccidono i pesci

Djeno è una cittadina di pescatori situata venti chilometri a sud di Pointe-Noire. Dal 1972 è sede del più grande terminal petrolifero della Repubblica del Congo: la maggior parte del greggio estratto nell’ex colonia francese viene convogliato qui per essere lavorato prima dell’esportazione via mare. Il terminal processa più di 200mila barili di petrolio al giorno.

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Azionista di maggioranza e operatrice dell’impianto è sempre stata la francese TotalEnergies, ma dal 1995 a oggi anche l’italiana Eni ha avuto un ruolo come azionista di minoranza; prima con il 36 per cento delle quote, dall’agosto del 2024 con il 26 per cento (Total ha attualmente il 48 per cento, la franco-britannica Perenco l’11 per cento, la società statale congolese Snpc il 15 per cento).

Terminal petrolifera di Djeno, Repubblica del Congo (credits: Elodie Toto)

Mongabay, testata giornalistica basata negli Stati Uniti e specializzata su temi ambientali, ha collaborato all’inchiesta Burning Skies – realizzata da Domani insieme ai consorzi giornalistici Eif e Eic – inviando la reporter Elodie Toto a Djeno lo scorso agosto.

Quando è stata lì, la collega ha visto con i suoi occhi quattro torri da cui spuntavano fiamme che bruciano il gas: due all’interno del terminale petrolifero, altre due nella centrale elettrica a gas di Djeno. Eppure, secondo la legge congolese, il gas flaring è vietato nel paese dal 1° luglio 2022.

Secondo molti residenti intervistati, nel terminal il metano viene bruciato in torcia da più di 20 anni. Avvicinandosi al terminal l’odore si intensifica. Lascia in bocca un retrogusto di uova marce. «Le ondate di puzza arrivano tre o quattro volte al giorno», racconta Alain Pratt, pescatore e membro del gruppo locale Associazione giovanile per la vita di Kouilou.

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Alain Pratt, pescatore, tiene in mano un pezzo di paraffina (derivato del petrolio) che ha raccolto nella laguna di Loubi (credits: Elodie Toto)

Per chi non è abituato, l’impatto può essere destabilizzante. Mentre faceva le interviste, la collega di Mongabay stava per svenire. Jean-Louis Pecho, ex dipendente di Total presso l’impianto di Djeno, dice di aver fatto le pulizie al terminal dal 1 agosto 1990 al 1998: «Avevo i dispositivi di protezione, ma quando li toglievo continuavo a sentire quell’odore. Oggi ho un problema polmonare».

Il flaring provoca piogge acide. Secondo uno studio dell’Environmental law research institute, con le piogge acide «il terreno perde sostanze nutritive a causa della maggiore acidità. Le piante si ammalano, compaiono macchie marroni sulle foglie a causa dell’incapacità di produrre abbastanza energia per completare la fotosintesi».

Gli effetti delle piogge acide si fanno sentire anche sui pesci. Secondo l’Environmental protection agency degli Stati Uniti, «con un PH pari a 5, la maggior parte delle uova di pesce non riesce a schiudersi. Con livelli di ph più bassi, alcuni pesci adulti muoiono. Anche se una specie di pesce o animale può tollerare l’acqua moderatamente acida, gli animali o le piante di cui si nutre non sempre riescono».

Non è chiaro se la causa sia il gas flaring o l’inquinamento derivato dagli sversamenti di petrolio avvenuti più volte da quando il terminal di Djeno è attivo (oppure entrambe le cose), ma di certo i residenti della zona assicurano che c’è meno pesce rispetto al passato nella laguna di Loubi, che confina con Djéno.

«Siamo cresciuti in questa laguna, la produzione oggi non è più la stessa. All’epoca il riuscivamo a ricavarne almeno 30.000 franchi congolesi (circa 45 euro) ogni volta. Oggi, se ti va bene arrivi a 4.000-5.000 franchi (6-7,50 euro)», racconta Efferole Mabiala, pescatore di 58 anni.

Dai dati che abbiamo analizzato si stima che, dal 2012 al 2022, il terminal di Djeno abbia bruciato in atmosfera 0,61 miliardi di metri cubi di gas, pari a 1,5 milioni di tonnellate di Co2 equivalente. La quantità di metano dato alle fiamme è aumentata costantemente nel corso degli anni. Come detto, è TotalEnergies a gestire fin dal 1972 l’impianto, mentre Eni è azionista dal 1995.

Nell’agosto del 2024 la compagnia francese ha ottenuto il rinnovo dell’operatività della concessione per altri 20 anni. Ad Eni è stata confermata una quota azionaria della concessione, pari al 26 per cento. Alle nostre domande su Djeno, nè TotalEnergies né le autorità congolesi hanno risposto.

A Eni abbiamo chiesto di farci sapere se nei suoi calcoli pubblici sui volumi di gas flaring prodotti nel mondo, la compagnia considera anche i volumi prodotti dal terminal Djeno.

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Sarebbe stato interessante saperlo per capire con precisione la metodologia adottata da Eni per calcolare il suo gas flaring, di conseguenza comprendere i motivi della dicrepanza tra le nostre stime e i dati comunicati pubblicamente dall’azienda. Eni non ha risposto alla domanda.


Questa indagine fa parte della serie “Burning Skies: dietro le fiamme tossiche di Big Oil”, sviluppata da EIF, un consorzio globale di giornalisti investigativi ambientali, in collaborazione con la rete europea EIC (di cui fa parte Domani) e i suoi partner Daraj, Source Material, Oxpeckers Investigative Environmental Journalism e Mongabay. Questa serie è stata sostenuta dal JournalismFund Europe.

© Riproduzione riservata



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