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la carica delle 100 comunità energetiche #finsubito prestito immediato




Case moderne con pannelli solari sui tetti, per produrre energia alternativa, a Grugliasco, nel Torinese – Michele D’Ottavio / Alamy Stock Photo

Quanto è importante l’attivazione dal basso per attivare un processo di cambiamento rispetto al nostro attuale paradigma economico? Che ruolo possono avere in questo percorso le Comunità energetiche rinnovabili (Cer)? « Possono rappresentare una grande rivoluzione che trasforma i nostri territori » ha spiegato il ricercatore Riccardo Troisi dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, mostrando i primissimi risultati di RiCER, un’indagine sulle Comunità energetiche Rinnovabili, che offre, nello specifico, una mappatura delle forme di autorganizzazione della produzione energetica in Italia.

Realizzata dall’ateneo romano di Tor Vergata in collaborazione con NeXt Economia, la prima piattaforma italiana sulle Cer, di fatto, è costituita da un database open source, disponibile online sul sito esg.nexteconomia.org/cer, attraverso cui è possibile conoscere, connettere e valorizzare le oltre 100 Cer già avviate sul nostro territorio (altre 60 sono in fase di studio, ndr), che hanno visto il coinvolgimento di almeno 3mila cittadini. 95 sono gli enti del Terzo settore entrati a fare parte di questa rete di autoproduzione energetica, assieme a 150 piccole imprese, 60 istituzioni locali e 20 enti religiosi. In media, le Cer italiane sono formate da 10 a 50 famiglie che si sono costituite in associazioni non riconosciute: questa è la forma organizzativa più utilizzata (il 61%), seguono le realtà cooperative (15%) e le associazioni riconosciute (11%).

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La fonte energetica prevalente è quella solare (99%). «In totale è stato calcolato che l’autoproduzione di energia verde da parte delle Cer è di circa 70 megawatt di potenza che significa dare luce a 47mila abitazioni in tutto il Paese, per un risparmio della CO2 di 40mila tonnellate l’anno» ha aggiunto il ricercatore Troisi. Un altro dato che emerge dalla RiCER riguarda la potenza degli impianti installati o da installare che va da 20 Kwp ai 100 Kwp. Peraltro, molte delle realtà non hanno realizzato ancora gli impianti data l’incertezza del quadro normativo: questa burocrazia regolativa è uno degli elementi critici.

Lo è anche «far crescere un processo dal basso, così come trovare i finanziamenti per la realizzazione degli impianti, assieme alla mancanza di superfici dove installare i pannelli solari, soprattutto per chi vive nelle grandi città» ha sottolineato Troisi, aggiungendo «che il Comune di Roma si sta dotando di un regolamento comunale per cedere le superfici di tutti i tetti pubblici a Cers, alle comunità energetiche rinnovabili e solidali che faranno progetti sociali sul territorio». «Noi siamo una comunità energetica e solidale e siamo una delle 25 comunità energetiche e solidali che sono nate nella regione Lazio, eppure la prima domanda che i concittadini ci pongono quando li invitiamo a partecipare, a diventare soci: “Quanto posso guadagnarci?”» ha spiegato Anelia Stefanova, presidente della CERS Illuminati Sabina, in provincia di Rieti. «Abbiamo scelto la strada dell’onestà rispondendo che partecipare significare dare un proprio contributo all’ambiente e alla comunità e anche di dare la possibilità di avere servizi di energetici verdi a chi non può permettersi l’installazione di pannelli solari. In questo modo siamo in grado anche di aiutare le famiglie che non si possono permettere di pagare le proprie bollette». «Ma se incentivare un impianto da 20 kilowatt, così come gestire una comunità di 20 persone che abitano nello stesso quartiere, è un conto; diversa è la complessità che stiamo affrontando oggi – ha spiegato Matteo Zulianello, direttore del Dipartimento Sviluppo Sistemi Energetici RSE – Ricerca Sistema Energetico – totalmente diversa anche per le dimensioni degli investimenti e delle regole di ingaggio che ci devono essere».

Viene da chiedersi se le Cer rappresentino un’occasione, in termini economici per le comunità Secondo Sergio Criveller, economo della diocesi di Treviso e presidente di Fondazione Energy, CER legata alla diocesi trevigiana: «Il nostro è un valore sociale che condividiamo con la comunità e nella comunità, ad esempio supportando le persone nel contrasto alla povertà energetica». D’accordo con lui, anche Gianni Parigi che ha raccontato del progetto SIEVEnergie, la prima cooperativa energetica a mutualità prevalente promossa dal Credito Cooperativo toscano, da parte di BCC Pontassieve insieme a Federazione Toscana : « Per noi, la comunità energetica rinnovabile è una straordinaria opportunità per tornare sui territori e chiedere alle persone di tornare a preoccuparsi del futuro di quel territorio. Quindi ha una componente sociale che, dal nostro punto di vista, è molto più rilevante di quella economica».

Dalla RiCER emerge anche il modo in cui le Cer riutilizzano gli incentivi che ricevono dalla loro autoproduzione: «Il 66% li utilizza – ha concluso il ricercatore Troisi dell’Università di Roma Tor Vergata – per ridurre le proprie spese energetiche, le proprie bollette. Ma un dato di vera innovazione sociale riguarda il 38% di quelle comunità che si definiscono energetiche rinnovabili e solidali (Cers) che decidono di reinvestire in tutto o in parte i benefici generati dalla vendita dell’energia o dagli incentivi derivati dalla condivisione dell’energia (autoconsumo virtuale) in progettualità che hanno una ricaduta sociale, solidale, ambientale e socioeconomica nel proprio territorio».





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