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La giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere l’istituto del preavviso di rigetto, applicabile anche all’istanza per l’ottenimento del titolo esecutivo in sanatoria, un elemento insopprimibile del procedimento amministrativo, la cui mancanza può inficiare in maniera determinante il provvedimento di diniego eventualmente assunto dall’amministrazione, a condizione che il privato dimostri il concreto pregiudizio subito dal fatto di non aver potuto partecipare, in maniera costruttiva, al contraddittorio con l’ente procedente.
L’istituto del preavviso di rigetto
L’istituto del preavviso di rigetto assume notevole rilevanza nella disciplina dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, in quanto finalizzato a consentire la partecipazione attiva del privato all’interno del procedimento che, verosimilmente, condurrà la P.A. procedente all’adozione di un provvedimento di diniego, sull’istanza del singolo mirante all’ottenimento di titolo abilitativo regolarizzante, prima che lo stesso venga definito in senso sfavorevole al richiedente.
In altre, e più semplici parole, nelle ipotesi di richiesta di permesso di costruire in sanatoria o di condono edilizio, per effetto dell’obbligo del preavviso di rigetto, il Comune è tenuto a comunicare al privato gli eventuali motivi ostativi al rilascio del titolo sanante prima che tale determinazione negativa sia definitivamente formalizzata.
In tal modo, si consente a colui che ne ha fatto richiesta di svolgere un ruolo attivo nel procedimento amministrativo e dimostrare, attraverso adeguata, ulteriore, produzione istruttoria, che sia opportuno (ovvero necessario) per l’ente pubblico rivedere le proprie posizioni e concedere, così, l’atto sanante appositamente richiesto.
La regolamentazione legislativa del preavviso di rigetto
La disciplina normativa dell’istituto del preavviso di rigetto è contenuta nell’articolo 10-bis della Legge 241/1990, rubricato: “Comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza”, il quale, nella versione vigente così recita:
“Nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda.
Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. La comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione dei procedimenti, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo.
Qualora gli istanti abbiano presentato osservazioni del loro eventuale mancato accoglimento, il responsabile del procedimento o l’autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni. In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere l’amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato.
Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle procedure concorsuali e ai procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali. Non possono essere addotti tra i motivi che ostano all’accoglimento della domanda inadempienze o ritardi attribuibili all’amministrazione”.
Le osservazioni procedimentali
Dalla lettura della norma, si possono ricavare le seguenti, sintetiche, osservazioni di natura procedimentale:
- entro dieci giorni dalla ricezione del preavviso di rigetto, all’interno del quale sono anticipati all’interessato i motivi che, secondo la pubblica amministrazione, ostano all’accoglimento dell’istanza in sanatoria, il soggetto richiedente formula le proprie osservazioni in relazione agli stessi;
- il Comune predispone, quindi, le proprie controdeduzioni rispetto alle note depositate dall’istante e sull’eventuale -ulteriore o integrativa- documentazione da quest’ultimo prodotta;
- all’esito, possono verificarsi due ipotesi opposte:
- l’ente conferma definitivamente il rigetto del permesso in sanatoria richiesto, indicando in maniera dettagliata e specifica le ragioni che non ne hanno consentito il rilascio
- modifica il proprio iniziale orientamento, ritira il preavviso di diniego e concede il titolo in sanatoria richiesto.
L’ambito di applicabilità dell’istituto nella giurisprudenza amministrativa
Il Consiglio di Stato, nella recente pronuncia numero 1240 del 18 giugno 2024, ha avuto modo di chiarire la generale applicabilità dell’istituto del preavviso di rigetto alle istanze di regolarizzazione edilizia e, nello specifico, alle ipotesi di accertamento in conformità, di cui all’articolo 36 d.P.R. 380/01 ed al condono, stabilendo, in maniera inequivoca che:
“(…) l’istituto del preavviso di rigetto, stante la sua portata generale, trova applicazione anche nei procedimenti di sanatoria o di condono edilizio, con la conseguenza che deve ritenersi illegittimo il provvedimento di diniego dell’istanza di permesso in sanatoria che non sia stato preceduto dall’invio della comunicazione di cui all’art. 10-bis l. n. 241/1990 in quanto preclusivo per il soggetto interessato della piena partecipazione al procedimento e dunque della possibilità di un apporto collaborativo, capace di condurre ad una diversa conclusione della vicenda (ex multis, C.d.S., Sez. VI, 18 gennaio 2019, n. 484)”.
Da tale pronuncia, dunque, si ricava un – ulteriore – requisito che deve necessariamente sussistere, affinché la mancata comunicazione del preavviso di rigetto possa essere di tale rilevo da inficiare l’intero procedimento amministrativo volto all’ottenimento del titolo in sanatoria:
- perché la violazione dell’art. 10-bis della legge 241/90 (integrata dalla mancata comunicazione del preavviso di rigetto) comporti l’illegittimità del provvedimento di diniego poi impugnato, il privato non può, in maniera generica, limitarsi a denunciare la lesione delle proprie garanzie partecipative, ma è, piuttosto, onerato di indicare in maniera specifica quegli elementi, fattuali o valutativi, che, ove introdotti – e considerati adeguatamente in fase procedimentale – avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento, determinando, dunque, almeno potenzialmente, l’accoglimento dell’istanza invece rigettata. In questo senso si è espresso il Consiglio di Stato, nella sentenza numero 8043 del 16 settembre 2022.
Il preavviso di rigetto come garanzia partecipativa
La funzione garantista del preavviso di rigetto del permesso di costruire in sanatoria, piuttosto che del condono, quale ulteriore opportunità per favorire il dialogo tra il privato (richiedente) e la pubblica amministrazione (orientata al diniego del rilascio del titolo in sanatoria) ed evitare, così, il giudizio conseguente, è stata, di recente, confermata da due importanti pronunce: la sentenza 12 agosto 2024, numero 15796 del T.A.R. Lazio e la sentenza 8 agosto 2024, numero 649 del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, le quali hanno entrambe evidenziato un dato comune.
Non avendo, i ricorrenti, ricevuto la comunicazione del preavviso di rigetto, hanno lamentato, nell’impugnare, nel primo caso (T.A.R. Lazio), un diniego di condono per un edificazione abusiva in zona vincolata, e nel secondo (C.G.A.R.S), un’ordinanza di demolizione relativa ad un immobile ereditato, unitamente al diniego di condono, che in conseguenza dell’intervenuta violazione dell’obbligo di preavviso di rigetto, di cui all’articolo 10-bis della legge 241/90, non sono stati posti in condizione di partecipare costruttivamente, nel procedimento che ha condotto la pubblica amministrazione procedente, al contraddittorio istruttorio che, ove realizzato effettivamente, avrebbe potuto determinare un esito differente (ed a loro favorevole) delle istanze avanzate.
In entrambe le pronunce, che hanno condotto all’accoglimento delle ragioni delle parti istanti, i giudicanti hanno evidenziato due aspetti ulteriori e decisivi:
- la sostenuta violazione del contraddittorio procedimentale è, di per sé, idonea ad inficiare la legittimità del provvedimento anche se a contenuto vincolato, nel caso in cui l’intervento partecipativo del singolo all’istruttoria precedente al diniego avrebbe potuto essere determinante ai fini dell’assunzione di un provvedimento differente;
- spetta alla pubblica amministrazione la prova del fatto che il provvedimento conclusivo poi assunto, non avrebbe potuto comunque essere diverso, secondo il dettato dell’articolo 21-octies della legge 241/90.
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