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La nuova sfida per unificare l’Europa passa per la rete elettrica #adessonews

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Guardando agli incendi in Portogallo, alle alluvioni in Europa Centrale delle scorse settimane e a quella in Emilia Romagna, verrebbe da dire che non solo la competitività, ma anche il cambiamento climatico sia una sfida esistenziale per il Vecchio Continente. Lo è certamente un sistema energetico incentrato su forniture di combustibili fossili che provengono da Paesi geopoliticamente instabili e il cui prezzo è soggetto a volatilità che possono bloccare l’economia di interi Stati.

La decarbonizzazione è per queste due ragioni, climatica ed economica, la cornice entro cui l’Europa deve riguadagnare terreno nei confronti dei blocchi rivali, Cina e Stati Uniti. Lo ha messo nero su bianco anche la cosiddetta agenda Draghi, in 400 pagine di rapporto che indicano la strada alla nuova Commissione Europea.

Entro 100 giorni dal suo insediamento, la nuova squadra governata da Ursula von der Leyen dovrà presentare il New Clean Industrial Deal, un primo pacchetto normativo che intende portare avanti i progressi ottenuti dal Green Deal durante la scorsa legislatura.

Commissaria alla transizione verde, giusta e competitiva, oltre che vice-presidente esecutiva, è stata nominata Teresa Ribera, già ministra della transizione ecologica in Spagna e figura di spicco della diplomazia climatica all’ultima Cop 28 di Dubai. “L’abbassamento dei prezzi dell’energia” e “l’emancipazione dalla dipendenza da combustibili fossili” sono in cima alla lista dei compiti elencati nella lettera spedita a Ribera da Ursula von der Leyen, che dovranno venire affrontati lavorando assieme al commissario per l’energia e le abitazioni, il danese Dan Jørgensen.

Il singolo progetto che più di ogni altro può contribuire a un’Europa più autonoma, energeticamente sicura, meno schiava delle oscillazioni del mercato del gas e più sostenibile è un’infrastruttura che interconnetta tutti i Paesi dell’Unione: una rete elettrica europea.

Intervenuta a inizio settembre al meeting annuale di Bruegel, un think-tank di politica ed economia energetica con sede a Bruxelles, pochi giorni prima della nomina, Ribera ha spiegato che elettrificazione non significa solo fonti rinnovabili, ma anche accumuli energetici, quindi batterie, reti intelligenti o smart grids, e più interconnessioni tra Paesi membri. “Con la guerra in Ucraina abbiamo visto che avere questa alternativa a disposizione fa tutta la differenza del mondo, anche e soprattutto dal punto di vista economico”. Il progetto è al contempo un piano industriale, economico, regolatorio e politico.

All’incontro era presente anche Krzysztof Bolesta, vice ministro del clima e dell’ambiente in Polonia, che ha ricordato la portata della sfida: “per raggiungere la neutralità climatica nel 2050 dobbiamo aumentare il nostro consumo di elettricità del 350%: non è poco e con le reti attuali non possiamo farlo. Entro il 2030 dovremmo investire 600 miliardi di euro nelle reti elettriche, altrimenti non saremo in linea con gli obiettivi che ci siamo dati”.

La precondizione per la realizzazione del progetto è una fornitura costante e affidabile di materie prime definite critiche, proprio perché il Vecchio Continente ne ha scarsa disponibilità. Politica energetica e geopolitica continueranno ad andare a braccetto anche in un sistema elettrificato e a basse emissioni. “Occorre valutare bene da dove arrivano, incluse quelle per i cavi e i chip, e possibilmente vanno assemblate in Europa” ha puntualizzato Ribera. “Non c’è un singolo silver bullet, ma un approccio strategico, perché la questione è complessa”.

Nel rapporto sul futuro della competitività, la rete elettrica europea viene indicata come uno dei progetti di interesse comune (IPCEI – Important Projects of Common European Interest) che dovrà venire portato avanti al di sopra dei singoli interessi nazionali. “Serve un Europa più autonoma, ma per questo serve un’infrastruttura che vada oltre l’interesse nazionale” ha ribadito Ribera.

Un rapporto di Ember di febbraio 2024 mostrava che, su scala continentale, il fotovoltaico e l’eolico (il primo più abbondante in regioni mediterranee, il secondo il quelle nordiche) si complementano a vicenda in diversi mesi dell’anno. In una rete interconnessa, quando c’è abbondanza di sole al Sud l’energia elettrica verrebbe trasportata verso nord e viceversa quando soffia più vento nelle regioni baltiche verrebbe trasportata verso il Mediterraneo.

Oggi il mercato dell’energia elettrica è diviso in zone di offerta, che per lo più coincidono con i confini nazionali degli Stati: il prezzo dell’elettricità varia in diversi Paesi a seconda di diversi fattori, quali i costi di produzione dell’energia, sussidi statali, politiche fiscali, competizione con altri mercati e così via. Una zona di offerta pan-europea è in fase di discussione, ma per realizzarla occorrerà superare più di qualche resistenza.

Proprio gli Stati della penisola iberica, Spagna e Portogallo, sono noti per essere una sorta di isola energetica, per le scarse connessioni che hanno con il resto del continente. Da ministra della transizione ecologica spagnola, Ribera non solo ha puntato massicciamente sulle rinnovabili (da queste fonti la Spagna oggi genera circa il 60% della propria elettricità), ma ha anche ripetutamente chiesto maggiori interconnessioni con il resto del continente, tramite la Francia, che però da anni si rifiuta di dare il via libera.

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“È una vergogna assoluta” aveva dichiarato Ribera ad aprile di quest’anno. “Quando la Francia ha dovuto spegnere numerose centrali nucleari lo scorso anno a causa della siccità, Parigi ha chiesto aiuto ai suoi vicini”.

In quell’occasione la Spagna aveva esportato tanta elettricità quanto la capacità di interconnessione consentiva, ma quel valore oggi è fermo al 6%, ben al di sotto del 15% fissato come obiettivo minimo europeo. Secondo Ribera, la connessione tra Spagna e Francia “non può essere una questione solamente bilaterale”, aveva dichiarato.

Secondo quanto detto al meeting di Bruegel dalla francese Laurence Tubiana, a capo di European Climate Foundation, Parigi ha limitato le importazioni di energia elettrica spagnola durante la chiusura di circa la metà della propria flotta nucleare principalmente per proteggere il mercato francese da elettricità molto più economica prodotta da fonti rinnovabili. In quell’occasione Ribera, in procinto di diventare commissaria europea, si è dimostrata più diplomatica, ma ugualmente decisa: “la Francia è un Paese piuttosto europeista. Penso che per ragioni politiche, industriali e di sicurezza, le interconnessioni dovranno avvenire. Avverranno”.

L’operazione sarà economicamente molto delicata: non a caso la transizione che Ribera dovrà gestire dovrà essere non solo green, ma anche giusta e competitiva. Che sia tecnicamente fattibile però è già stato dimostrato dopo l’invasione russa dell’Ucraina, che in un certo senso è già stata annessa all’Europa.

Il 16 marzo scorso è stato celebrato il secondo anniversario della sincronizzazione della rete elettrica ucraina e moldava a quella europea continentale. L’operazione è stata completata in meno di tre settimane dal 24 febbraio, quando le truppe russe hanno varcato i confini, nonostante le previsioni fossero di almeno un anno di lavoro.

Rispetto al 2021, l’Ucraina oggi importa quasi il doppio dell’energia elettrica dall’Unione Europea: l’apporto è stato cruciale per sopperire ai danni causati alle centrali ucraine dagli attacchi russi e per mantenere l’afflusso di elettricità alle abitazioni, specialmente durante l’inverno.

A inizio 2024, Ukrenergo, il gestore della trasmissione elettrica ucraina, ha confermato di aver raggiunto tutti gli standard per mantenere permanente l’interconnessione ed è entrato ufficialmente a far parte di ENTSO-E, l’unione degli operatori della trasmissione elettrica europea. Nel XXI secolo, la nuova sfida per unificare l’Europa passa per i cavi elettrici.





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